Yemen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

SHAHARAH

Oggi si va a Shahara, la città il cui ponte medievale e’ diventato uno dei simboli dello Yemen. Sono emozionato, di buonora prendiamo la strada che porta a Sadah verso l’Arabia Saudita. Abbiamo appuntamento con la scorta beduina ad al-Gabaj; li’ dovremmo prendere i loro pick-up e salire alla fortezza.

Appena fuori citta’, poco prima di prendere la strada per Sadah, incontriamo un posto di blocco. L’ufficiale in capo ci avvisa che senza scorta armata non ci permettera’ di uscire da San’à e lui non ha piu’ uomini a disposizione. Si decide di tornare in citta’ e chiedere al titolare dell’agenzia che ci ha noleggiato i fuori strada di occuparsi della questione.

Il titolare dell’agenzia ha risolto la questione alla yemenita: ha fornito kalasnhikov agli autisti e ha suggerito loro un percorso alternativo attraverso il deserto, bypassando il posto di blocco. In effetti riusciamo ad evitarlo, ma poco prima di al-Gabaj veniamo affiancati da un paio di pick-up di beduini, armati fino ai denti, che ci fanno cenno di fermarci. Piccolo brivido, ci informano che non e’ possibile proseguire per al-Gabaj perche’ ci sono alcune tribù beduine in rivolta.

Casualmente loro, dietro compenso doppio rispetto a quello concordato con gli altri, sarebbero disposti ad accompagnarci a Shaharah per un percorso alternativo. La faccenda non e’ molto chiara ma accettiamo lo stesso. Il nostro autista e’ seriamente preoccupato ma cerca di apparire sereno; solo con me manifesta qualche piccola preoccupazione.


Arriviamo al loro villaggio dopo aver percorso una pista attraverso una zona desertica sempre scortati dai beduini. Per il nostro autista sono strade nuove ed in caso di fuga non saprebbe dove andare; è sempre piu’ preoccupato non so se per la sua incolumità o per la nostra.
Dopo estenuanti trattative, eh si perché il denaro estortoci deve sembrare frutto di una trattativa, saliamo sui loro pick-up e sempre con la scorta armata saliamo verso Shahara.


La strada e’ poco più che una mulattiera, si inerpica su per la montagna con una pendenza piuttosto elevata. Il sentiero e’ un insieme di massi, buche, rocce, buche, sassi, buche; per un certo tratto percorriamo il letto di un fiume. I pick-up arrancano con fatica; spesso dobbiamo fermarci, noi a riprendere fiato ed il mezzo a raffreddare. E’ un continuo saliscendi, costeggiamo strapiombi vertiginosi da un lato e dall’altro coltivazioni di qat la loro droga nazionale.


Il qat e’ una foglia di piccole dimensioni, viene consumata in grande quantità, appallottolata all’interno della guancia e masticata in continuazione. E’ loro tradizione dopo il pasto di mezzogiorno masticare questa droga che ha un effetto blandamente euforizzante. E’ un grave problema per lo Yemen soprattutto perchè la coltura del qat sta soppiantando quella tradizionale dei cereali creando un grosso deficit alimentare.


Il paesaggio e’ lussureggiante sebbene siamo vicino al tropico del cancro. Qui il caldo e’ sopportabile e man mano che saliamo la brezza diventa sempre più fresca. Incontriamo bambini armati di kalashnikov a guardia del qat, pastorelle in chador, attorniate da saltellanti caprette. Finalmente all’orizzonte riusciamo a scorgere le mura della citta’. E' arroccata su un crinale; vi si accede passando da una stretta porta. Era una fortezza imprendibile prima dell'avvento dell'aviazione, infatti durante la guerra fra il nord e sud fu bombardata dai Mig dello Yemen del Sud e ancora oggi se ne vedono le tracce.
Dopo diverse manovre entriamo dalla porta principale e parcheggiamo in un largo spiazzo. Prendiamo alloggio in uno dei due "funduk", quello di Francisca. Sì la proprietaria e’ una donna, molto emancipata rispetto allo standard yemenita. Naturalmente porta il "chador", ma e’ lei che tratta con i clienti stranieri.
Il funduk e’ una locanda piuttosto spartana: vi e’ un grande salone con pavimento coperto di tappeti che serve sia da camera da letto che da sala da pranzo. Sistemiamo i sacchi a pelo e decidiamo di fare un giro per il paese, è il tramonto. Girando per Shahara si ha l’impressione di tornare al medio evo. Si incontrano asini carichi di fascine, artigiani sulla soglia del loro laboratorio indaffarati nelle ultime attività prima del calar del sole.

Donne di un’età indefinibile, pesantemente coperte da palandrane rigorosamente nere che si incamminano, con i loro secchi collocati sul capo, verso la cisterna situata al centro del paese. Un nugolo di bambini ci corre incontro al grido di "kalam", ma a questo punto del viaggio le matite sono già finite.
In ogni villaggio si incontrano moltissimi bambini; quello demografico e’ uno dei più grandi problemi dello Yemen. Ogni famiglia ha di media sette figli con punte di quindici. Il governo sta tentando di porre un limite all'arrivo queste nuove bocche da sfamare.

Lo Yemen e’ uno dei pochi paesi al mondo dove la speranza di vita femminile e’ inferiore a quella maschile, le molteplici gravidanze e la scarsità d’igiene minano la salute della donna.
Proseguendo il giro mi imbatto in un portale di legno riccamente scolpito, e’ molto vecchio e fra le varie incisioni c’e’ anche la stella di Davide; forse il suo proprietario era di origine ebrea. La luce e’ splendida, le case illuminate dal tramonto passano dal rosa antico al giallo oro. L’aria e’ sempre più fresca per cui decido di tornare al funduk. Questa passeggiata mi ha stimolato l’appetito.


Francisca ci ha preparato un’ottima cena: una focaccia simile al chapati, molto croccante e condita con semi di sesamo; riso con uova strapazzate e verdure lessate, una salsa simile al dal indiano, probabilmente purea di lenticchie condite con curry, molto piccante ma appetitosa; infine il dolce, una focaccia cosparsa con miele di dattero e semi di sesamo, buonissima.
Dopo la cena cerchiamo di dormire subito perché domani dobbiamo svegliarci all’alba per andare a vedere il famoso ponte medievale che e’ divenuto uno dei simboli dello Yemen.
Non riesco ad addormentarmi, sono stanco ma soddisfatto, la giornata e’ stata intensa ma proficua e domani sarà altrettanto impegnativa.


 

Un bisbiglio che presto si tramuta in un grido mi dice che e’ ora di alzarsi. A fatica apro gli occhi ma intorno a me c’e’ ancora buio e silenzio. Guardo l’ora : sono le quattro. Eppure sento ancora le grida, mi faccio più attento e distinguo: "Allah akbar, Allah akbar...". E’ il muezzin che chiama a raccolta i fedeli per la prima preghiera del giorno. Cerco di riaddormentarmi.
L’alba mi coglie piu’ assonnato che mai, una nebbiolina vela Shaharah in una atmosfera surreale. In fretta e furia mi preparo e raggiungo gli altri all’ingresso della città dove c’e’ ad attenderci un beduino rigorosamente armato.
Un’aria fresca e frizzante mi accoglie e mi sveglia completamente.

 

Di buon passo seguo il beduino attraverso la città. Da lontano sembrava assonnata, ma più ci si addentra nei vicoli e più si nota un movimento di uomini e donne. Sono tutti indaffarati nelle più svariate attività: falegnami, fabbri, fornai. Le donne, tutte coperte dal capo ai piedi col solito chador nero, in fila indiana con le brocche in testa, camminano lentamente verso la cisterna, sono suggestive e rendono il paesaggio ancora più surreale. Il tempo si è fermato al medioevo.
Attraverso un dedalo di viuzze usciamo dalla città e ci dirigiamo verso ovest. La strada costeggia la montagna e lascia intravedere uno strapiombo di centinaia di metri. Mano a mano che il sole si alza in cielo i colori mutano così rapidamente e spesso mi fermo a scattare foto al paesaggio.

Dopo una curva, all’improvviso, davanti a me vedo il ponte. E’ antico: anche se recentemente è stato restaurato, resta sempre affascinante. La donna che lo attraversa, l’ora mattutina e la nebbiolina che sale da fondovalle lo rendono misterioso. Sono in mezzo al ponte e guardo intorno a me: ci sono le terrazze coltivate a qat, alcune contadine che s’incamminano verso i loro poderi, due rapaci volteggiano nel cielo. A un certo momento si sente uno sparo; e’ la nostra "guida" che vuole farci sentire l’eco. Lo strapiombo che si vede dal ponte e’ impressionante: la nebbiolina impedisce di vedere il fondo.

Penso alla fatica che hanno dovuto subire coloro che hanno costruito il ponte, chissà che tecniche hanno usato; comunque hanno compiuto un’opera che dura nel tempo. Probabilmente lo sceicco di Shahara doveva essere molto ricco e potente e con le tasse che imponeva alle carovane di passaggio ha potuto far costruire il ponte in modo da incrementarne il loro passaggio. Tutto quello che ho letto su questo luogo e su questo ponte è risultato essere riduttivo. A malincuore si torna al funduk per scendere a valle e proseguire nel viaggio attraverso lo Yemen.
La discesa e’ spettacolare; per un certo tratto scendo camminando e ho sempre come scorta il beduino con il suo immancabile kalashnikov che non mi perde mai di vista. Spesso si ferma a contrattare l’acquisto del qat con giovanissimi venditori anch’essi armati.
Raggiungiamo il villaggio e riprendiamo i nostri pick-up e torniamo verso Sadah, alcuni beduini ci scortano fino al bivio per al-Gabaj che raggiungiamo intorno a mezzogiorno.



 

Decidiamo di fermarci in un ristorantino per mangiare qualcosa e i beduini della scorta ci fanno compagnia. Siamo attorniati da molti bambini e bambine, quando ad un certo punto sento uno strano trambusto. Sono arrivati due camion militari (??!?); scendono diversi beduini ben vestiti, armatissimi con M16 e altri fucili d’assalto. Sono organizzati e in pochi attimi prendono posizione: uno con una mitragliatrice pesante tiene sotto tiro il locale, altri sono appostati alle uscite. Qualcuno manda via i bambini, un paio, con discrezione, ci tengono sotto tiro.
Quello che sembra il capo, seguito da altri quattro beduini va direttamente dalla nostra "guida beduina" che stava tranquillamente pranzando con i suoi compagni. Non mi e’ parso stupito, comunque lo vedevo preoccupato. Discutono animatamente.

Noi continuiamo a mangiare cercando di non dare eccessivo peso alla situazione. Dopo un po' di animata discussione il nostro autista ci viene ad informare che gli altri beduini vogliono cinquemila rials. Ora si comincia a capire qualcosa, quelli che chiedono i soldi appartengono alla tribù che si è assicurata il traffico dei turisti verso Shahara. Dopo un’altra discussione hanno concordato che i cinquemila rials li pagheranno i nostri beduini e ci fanno firmare un documento, scritto in arabo, (tradotto dal nostro autista yemenita), diceva che non abbiamo subito nessun torto e che noi li abbiamo seguiti spontaneamente. Evidentemente sospettavano che noi saremmo andati all’ambasciata a denunciare il fatto che eravamo stati vittima di una estorsione.
Finita la transazione entrambe le bande di beduini spariscono, immediatamente sono tornati i bambini a subissarci di domande e noi possiamo proseguire il viaggio.
Indimenticabile!

 

 

mailto: Indy

Copyright by IndyWeb
Aggiornato il: maggio 21, 2011.